I “Passaggi d’Acqua” sono a Guastalla

“Passaggi d’Acqua”, è il titolo della mostra storico-documentaria inaugurata il 10 novembre scorso negli ambienti del Piano Nobile del Palazzo Ducale di Guastalla: doveva  chiudere il 31 dicembre, ma visto il successo tra il pubblico, è stato scelto di prorogarla fino al 30 gennaio.
La mostra si articola in due sezioni, una dedicata alla navigazione del Po, con una rassegna di tutti i tipi di imbarcazioni che navigavano sul fiume e una che espone documenti e materiale provenienti dalla Biblioteca Maldotti sull’idrografia e la gestione delle acque dell’area guastallese intorno al XVIII secolo.
I pannelli illustrativi sono stati curati da Valentina Bocchi (Archivio di Stato), con la collaborazione di Andrea Errera, docente di Storia del Diritto Medievale e Moderno presso l’Università degli Studi di Parma, e dagli autori Marco Bonino, archeologo navale e Loreno Confortini, disegnatore e cartografo.
La sezione dedicata alla navigazione sul Po è ampia ed articolata in diversi pannelli che illustrano tutte le tipologie di imbarcazioni che per secoli hanno navigato sul fiume e sui suoi affluenti da Torino al Delta, inclusi i famosi Navigli di Milano. La mostra sorprende per questo originale insieme di imbarcazioni, parliamo di oltre cinquanta modelli che, come spiega Marco Bonino, appartenevano ad una vera e propria “tradizione navale” che era diffusa anche in località dove questa antica attività oggi è stata dimenticata, come sui canali navigabili di Parma, Reggio Emilia, Modena e Bologna.
La navigazione fluviale, per secoli e millenni, è stata ed è ancora praticata per gli enormi vantaggi gestionali e strategici dei trasporti, quando, prima dell’avvento della ferrovia, poi dei motori a vapore e a scoppio, la capacità di carico delle barche era infinitamente maggiore rispetto al trasporto stradale su carri (basti pensare che un cavallo era in grado di trainare un carro di 15-20 quintali su una strada pianeggiante, mentre poteva trainare un barcone di oltre 300 quintali su un corso d’acqua).
A questo scopo, verso la fine dell’Ottocento, nei cantieri lungo il corso del Po, venivano costruiti barconi di quasi 30 metri di lunghezza che erano in grado di trasportare 2.000 quintali e a pieno carico potevano navigare con un pescaggio di soli 2 metri d’acqua.
Le rotte di navigazione di queste grandi barche toccavano i porti di Pavia, Piacenza, Cremona, Mantova, fino a Chioggia e Venezia; per raggiungere Milano, attraverso il Naviglio Pavese, il carico però doveva essere trasferito su barche di minori dimensioni, in quanto le numerose conche (che dovevano superare i dislivelli delle acque), avevano dimensioni limitate.
Poi vi erano altri approdi minori diffusi lungo tutto il corso del fiume e tra questi ricordiamo quello di Torricella di Sissa, da dove, ricordiamo, partirono i burci carichi di mattoni, prodotti dalla fornace Pizzi di Gramignazzo, che servirono per il rivestimento del campanile di San Marco, ricostruito ai primi del Novecento.
Dopo l’Unità d’Italia, la Commissione Governativa sulla Navigazione Interna (Ministero dei Trasporti), pubblicò un Registro Navale che descriveva tutte le barche fluviali adibite al trasporto di merci e in questo elenco troviamo modelli con nomi per noi insoliti, quali la Gabarra, la Barbòta, la Rascona, il Magano, il Bucintoro (diverso da quello più famoso di Venezia), il Burchio, la Comaccina e tanti altri che rimandano ad una storia millenaria di un patrimonio culturale ormai dimenticato.
Diversi modelli di barche per tanti mestieri diversi e tra questi ricordiamo il trasporto del sale che tanto ha contribuito alla tradizionale produzione di formaggi e insaccati, oggi così rinomati nella nostra pianura, ma anche materiali per l’edilizia e non possiamo dimenticare che le pietre e i marmi utilizzati per la costruzione delle grandi cattedrali padane giungevano nelle nostre città dalle Alpi, per vie d’acqua interne.
Sul fiume vi erano i “cavallanti” addetti al traino delle barche, i raccoglitori di canne, i cavatori di sabbia, pescatori e i cacciatori.
Ma non vi erano solo le barche da lavoro, dal Rinascimento e fino al XVIII secolo, tra i regnanti degli stati padani lungo il Po, si diffuse la moda di allestire barche da gala riccamente istoriate che venivano comunemente chiamate bucintori, in quanto ispirati dalla famosa nave veneziana usata per la cerimonia dello sposalizio del mare.
In mostra viene esposto un pannello dedicato a queste barche, ben illustrate in alcune stampe originali e in particolare si può notare la ricostruzione di Loreno Confortini del bucintoro di Maria Amalia, moglie del duca Ferdinando, ricavata dai disegni di Alexandre Petitot e costruito a Venezia nel 1771.
Tra le molteplici attività fluviali, si svolgeva anche quella per noi più famosa dei mugnai con i loro grandi mulini natanti costruiti su imponenti scafi di quercia detti sandoni: ancora ai primi anni del Novecento furono censiti oltre 250 mulini attivi, che stazionavano sul fiume da Piacenza a Ferrara.
Poi vi era la diffusa attività dei traghetti (o porti): ogni località che si affacciava sul fiume aveva un traghetto e nel Ducato di Parma, verso la metà dell’Ottocento, esistevano 26 porti con 11 uffici doganali.
Un’attenzione particolare è rivolta anche alla storia delle gestione delle acque a Parma, un rapporto che affonda le sue radici nell’età romana.
Fu il sovrano ostrogoto Teodorico a ripristinare nel VI secolo, dopo il crollo dell’Impero, molti dei canali e acquedotti che portavano acqua in città e nelle campagne dalle sorgenti dell’Appennino. Da questa iniziativa prese avvio nei secoli successivi la costruzione e il graduale ampliamento di una fitta rete di canali e di condotte ramificate nel territorio e nell’intera città.
La seconda parte della mostra vede esposti diversi documenti e materiale d’archivio sull’idrografia a Guastalla nel XVIII e XIX secolo.
Grazie alla presenza di cartografie originali provenienti dalla Biblioteca Maldotti e di pannelli con mappe presenti all’Archivio di Stato di Parma, i visitatori potranno esplorare la complessità della gestione delle acque e della fitta rete di canali del territorio guastallese.
Figura di rilievo dell’epoca è l’ingegnere Giulio Cesare Cani che seppe sintetizzare la cultura idraulica del suo tempo tra tecnica e filosofia illuminista. Particolarmente interessanti saranno i volumi e trattati manoscritti, corredati di tavole e immagini, che si potranno osservare all’interno della mostra insieme a diversi altri documenti maldottiani, come i disegni dei misuratori idrometrici e i progetti per nuovi ponti di barche o in muratura.
Sono tanti dunque gli aspetti storici affrontati in questa esposizione e grazie ai testi, alla presentazione grafica e alle cartografie, si riscopre un patrimonio culturale ormai dimenticato che per secoli è appartenuto a queste terre.
Info:
sino al 30 gennaio
Palazzo Ducale di Guastalla
Via Gonzaga, 16
Orari di apertura:
sabato, domenica e festivi:
dalle 9.30 alle 12.30 e Dlle 15.30 alle 18.30
Ingresso libero
Visite guidate e aperture straordinarie su richiesta
UIT – 0522839763
uit@comune.guastalla.re.it