Salutiamoci con il “ Wai “

Per qualche tempo dovremo dimenticarci i nostri consueti saluti quando ci si incontra: niente strette di mano, niente abbracci, niente baci, niente contatti. Sarà difficile viste le nostre abitudini e per ora il saluto che qualcuno ci invita a imparare, quello di urtarci braccio contro braccio, oltre a non piacere a molti, potrebbe anche non andare bene.
E allora?

In Thailandia, ad esempio, non ci si da la mano in segno di saluto. Gli abbracci non rientrano nella tradizione.
In Thailandia ci si saluta con il “ wai “.
E se provassimo anche noi? Magari potrebbe piacerci.

Nel Paese asiatico quando ci si incontra, si entra in un negozio o in un locale, si partecipa a un incontro sociale, si pongono le mani giunte in preghiera, davanti al viso, si fà un leggero inchino ed un sorriso: potrebbero diventare un nuovo codice di relazione in tutto il mondo?

Il wài è un’usanza ceh si ha quando si entra in una casa e dopo che la visita è finita ed è anche un modo ringraziare e scusarsi. Dagli anni ’30, epoca in cui fu coniato, rimane a tutt’oggi una parte estremamente importante del comportamento sociale tra i thailandesi.

Il wài, come il “namaste” indiano, appartiene alla famiglia dei saluti pranamasana o dei mudra anjali. Un mudra è un gesto simbolico o rituale tipico dell’induismo e del buddhismo. Mentre alcuni mudra coinvolgono l’intero corpo, la maggior parte vengono eseguiti con le mani e le dita. Un mudra è un gesto spirituale, un sigillo di energia impiegato nell’iconografia e nella pratica spirituale delle religioni lontane.

Mudra significa “sigillo” o “segno”. Anjali è il sanscrito traducibile con “offerta divina”, “gesto di rispetto”, “benedizione”, “saluto”.
Il gesto viene utilizzato sia per saluti che per addii, ma porta un significato più profondo di un semplice ciao o  di un arrivederci: l’unione delle palme connette gli emisferi sinistro e destro del cervello e unifica collegando il praticante con il divino in tutte le cose.
Quindi, eseguire il wài vuol dire onorare sia il sé che l’altro e il gesto riconosce la divinità sia del praticante che del ricevente.