La cucina arcobaleno sudafricana

Anche in Sudafrica la cucina è una cosa seria: dai piatti della tradizione a quelli influenzati dalle cucine del resto del mondo; dal cibo di strada ai ristoranti stellati, tutto contribuisce alla “rainbow cuisine”, la “cucina arcobaleno” che rispecchia l’identità di un’intera nazione.
Non è un caso che il Sudafrica sia stato inserito nella celebre classifica delle mete enogastronomiche da scoprire quest’anno da Lonely Planet: provate un piatto a base di pesce lungo la Garden Route; oppure un curry nella Indian Area di Durban; o, ancora, una sfrigolante delizia malese del Capo o un braai nella natura incontaminata.

Per provare questo, ma tanto altro ancora, non resta che definire l’itinerario che si vuole percorrere..
E allora, partiamo dall’inizio, anzi dal Capo: nella penisola si concentrano una serie di tipologie di cucina di provenienza più o meno lontana, ma la Cape Malay è quella che definisce maggiormente la regione.
La cucina di Cape Malay è più che cibo, è una storia nata nel XVII secolo che continua ogni volta che si assaggia un piatto, un vero e proprio viaggio tra sapori asiatici, in particolare malesi, prevalentemente halal.

Alla base di tutto ci sono le spezie, soprattutto curcuma, zenzero, anice stellato, cardamomo, finocchietto selvatico, paprica, cumino, alloro, coriandolo, semi di senape, zafferano, noce moscata e tamarindo, che insaporiscono carne o pesce – solitamente agnello o pollo, ma anche aragosta per le grandi occasioni – da abbinare a riso, solitamente basmati: è il curry del Capo (leggermente diverso da quello di Durban per come viene condito), cibo per l’anima per gli schiavi, comfort food senza tempo.

Il meglio della cucina malese si trova nel quartiere di Bo-Kaap, ex township sulle pendici di Signal Hill, dove in ristoranti come Bismillah non mancano specialità come pies di carne, bredie (stufati) di carne o verdura, bobotie (pasticci di carne) e koesisters, gnocchi dolci fritti e spolverati con cocco.

Il viaggio alla scoperta della cucina del Sudafrica non può che continuare con assaggi di cibo di strada, a partire dalla sua star, il sandwich delle township, che prende nomi diversi a seconda del posto: a Johannesburg si chiama kota ed è così popolare da essere il protagonista di un festival (in programma per il prossimo 1° aprile a Soweto), mentre a Durban è conosciuto come bunny chow ed è servito con curry di agnello; a Pretoria, preferiscono il termine locale sphathlo e a Cape Town si trova in formato baguette col nome di gatsby.

Un altro snack emblematico è il biltong, fettine di carne essiccata, solitamente di manzo, ma esistono anche biltong di struzzo, springbok e kudu.
Per i più golosi, da provare i vetkoek o amagwinya, panini fritti solitamente ripieni di carne e formaggio, mentre i più coraggiosi potranno optare per i walkie talkies, zampe di gallina fritte o alla brace.

Lungo la strada, specialmente nelle aree rurali, capiterà di vedere gli abitanti cucinare lo smiley (testa di pecora), piatto tipico della tradizione Xhosa.

Dallo street food al fine dining, il Sudafrica è una meta prediletta dagli amanti della buona cucina: a Cape Town, lungo il V&A Waterfront, Pier conquista anche i palati più esigenti con un menù sofisticato a base di pesce e piatti vegetariani preparati dalla chef Roxy Mudie e dalla sua brigata, con esperienza presso l’acclamato La Colombe di Constantia. Spostandosi verso le Winelands, spicca Dusk, il progetto provocatorio degli chef Darren Badenhorst e Callan Austin, che puntano tutto su fermentazione e cucina senza sprechi.

E ancora, l’irriverente Zioux a Sandton, a nord del centro di Johannesburg, dove nel menù non mancano ostriche, caviale, tacos creativi e cocktail scenografici che spaziano dal Sudafrica – con il Boerewors Old Fashioned, a base di bourbon realizzato con tecnica fat wash, sciroppo di semi di coriandolo affumicato e bitter all’arancia –  al Messico, la cui atmosfera è racchiusa in Agua de Me-hee-ko, preparato con tequila, orzata, succo di lime, succo di mango, estratto di habanero e bitter alla pesca.

A 20 minuti da Durban, tra l’entroterra e l’oceano, The LivingRoom presso Summerhill Guest Estate, offre un’esperienza culinaria unica, dove la sostenibilità è la parola chiave. Infine, ci si può concedere un’immersione sensoriale al Klein JAN, il grande progetto di ritorno a casa dello chef sudafricano Jan Hendrik van der Westhuizen (stella Michelin nel 2016).

Cresciuto in una fattoria nella provincia rurale del Mpumalanga, lo chef ha scelto l’area del Kalahari per riportare in Sudafrica lo spirito del JAN, il suo ristorante stellato di Nizza. Nasce così Klein JAN, situato in una delle principali riserve naturali private del Sudafrica, la Tswalu Kalahari, un’area incontaminata e onirica.
Info:
www.southafrica.net