Varanasi, Benares.
Corrispondenze dall’India

In fondo alle caverne i cinesi seppellivano i morti e le donne andavano a partorire, proprio lì, in quello stesso luogo.

Si creava un ciclo, un cerchio di vita e di morte.

La morte non si nascondeva.

Come faceva la nonna del resto, quando da bambina mi portava con se’ a far visita ai defunti.

Ero piccola ma li ricordo bene quei volti cerulei. Quelle espressioni ai miei occhi tanto austere. Quei morti misteriosi e sconosciuti. Quei morti secchi e opachi.

Sono gradoni questi Ghat. Cammino.

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Varanasi. Spiritualità e misticismo. Mi perdo. Ma cosa ci sono venuta a fare qui? Perché quest’esigenza di venirci da sola? Gradini di cani, vacche, fiori calpestati, candele sfiorite, venditori e preghiere. La linea sottile che separa la vita dalla morte a Varanasi sembra non esistere. Non essere mai esistita. Guardo il Gange, le pire sempre accese. Tronchi accatastati, bilance per definire la quantità di legna necessaria per ardere i propri cari, pellicole dorate per avvolgere corpi.

Occhi lucidi. Per il fumo, per la nostalgia, per provarci a lasciare andare, poi un lieve spostamento d’aria. L’equilibrio precario e perenne fra vita e morte sembra reso, improvvisamente, instabile.

Mi invitano a salire su un tetto per vedere meglio il Ganga, dicono che potrei fare scatti perfetti, cortesemente rifiuto.

Sento costantemente addosso gli sguardi curiosi delle persone che su questi gradini vivono vite. Mi commuovo. A tratti vorrei essere esattamente come loro, ma la morte mi fa ancora paura. Disorienta. La levataccia di stamane non sembra trasformarsi in stanchezza. Cammino. Salgo su una piccola imbarcazione che lenta risale il fiume sacro. Da qui scattare darà risultati eccezionali, lo sostiene anche il barcaiolo. Pensa che sia una giornalista, una fotografa o qualcosa di simile. Forse perchè sono sola. Forse il mio incedere. La Nikon certo. La penna sempre in mano.

Incrociamo imbarcazioni di pellegrini che giungono da ogni dove.

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E io? Da dove vengo io? Che ci faccio qui? Cos’è questa sensazione di sentirmi a casa?

Sono qui a osservare viavai di persone e per un motivo che non so, uno strano scherzo della memoria, dinnanzi agli occhi scorrono leggeri, quasi fluttuanti, pezzetti, ritagli di vita. La mia questa volta, che con tutte le altre qui, sembra congiungersi. Trovare dimora. Ristoro. Attimi che sono a lenire, medicare. Mendicare. Lavarsi i denti e pregare, insaponarsi e osservare il fuoco che sale e si porta via una parte di esistenza.

Sulle rive del Gange, osservando il suo lento scorrere, ripenso a te nonna. Dopo la visita ai defunti noi via, a farci un bel cono con la panna e la polvere di cannella sopra. Ripenso alla dolcezza in bocca, alla cannella e al gesto del gelataio che la sparpagliava un po’ ovunque. Osservo questi bambini che si tuffano e gridano di gioia mentre poco più in là un corpo viene donato allo stesso fiume.

Un cerchio, perfetto e infinito.

Socchiudo gli occhi. Li riapro. Volti tristi, festosi, parole in lingue che non so. Uccelli. Versi d’uccelli che spengono il silenzio. Un alito di vento che mi riporta al qui e ora. A rialzarmi. Rimettermi in moto. Anche la fame torna.

Gironzolo tra i venditori di frutta. Mi indicano la loro colorata mercanzia. I miei capelli e quelli bianchi dell’anziana signora danzano insieme. Lei è appoggiata al ragazzino dagli occhi vispi. Mi sorride. Istanti, scie di vita. Avvicina la mano come per sfiorarmi, le porgo un frutto. E sorrido anch’io.

Tutto qui è profondamente sconosciuto. Tutto qui è profondamente familiare. Esattamente come questa umanità, che scorre dinnanzi agli occhi in migrazione perpetua verso l’aldilà e che quasi sembra traghettarmi in un’altra dimensione.

Osservo piedi deformi. Annodati come rami d’albero. Mani che non sembrano mani.

E l’india, ogni volta, mi divora. Come un gigantesco mostro dal quale non trovo scampo. E annaspo. Ma dopo avermi divorato, senza lasciare residui di me, ecco che rinasco.

Rinasco qui a Varanasi. Il luogo dove il percorso delle anime trova ristoro. Dove anch’io mi placo.

Per un attimo, è questione di un attimo, ma mi placo.

26 novembre. Varanasi o Benares. Una delle sette città sacre dell’hinduismo. Tra pellegrini, bambini festosi, procacciatori di clienti e umanità varia. In mezzo a questo caos incessante mi destreggio al meglio certa del fatto che tutto troverà il suo posto. Qui e nell’universo.

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