Carezze del Ladakh.
Corrispondenze dall’India

La signora di Leh mi siede accanto, ci guardiamo. Io rompo il ghiaccio con un sorriso, lei contraccambia con uno sguardo di tenerezza.

L’uomo sedutole di fronte mi osserva. Rimbalzano sorrisi composti.

Rimbalzano sguardi curiosi ma contenuti. Sobri.

Occhi scuri che danzano veloci, ma garbati.

Occhi che si posano. Occhi che frugano ma mai sfrontati, occhi che cercano, occhi modesti ma solenni. Occhi sottili quelli di Leh.

Leh, in Ladakh. È un attimo, frugo nella borsa, spunta fuori il mio quaderno indiano, quello col tempio più famoso di Leh in copertina. Quella scelta che non è frutto del caso. Sogno da anni quelle montagne, quell’aria chiara e fresca, aria trasparente che si respira a un passo dal cielo.

Sicuramente se Dio potesse avere casa, abiterebbe lassù, come un eremita al fresco del Ladakh.

La famiglia seduta qui accanto tornerà presto nella sua terra di provenienza, il volo partirà subito dopo il nostro.

È un attimo, la copertina del quaderno trasforma le labbra in sorrisi.

Un sorriso di gruppo il nostro.

Senza parole. Un sorriso che non si spiega, perché talvolta non serve. Io che le coltivo, io che le parole le amo, mi rendo conto che ora sono superflue.

La signora di Leh allunga la mano e mi accarezza la guancia. Un gesto inaspettato, amorevole, di tenerezza infinita. Un gesto che racchiude tutta l’umanità delle genti di lassù.

Umanità bella, spontanea, sincera. Scarna.

Le sorrido e mi annodo tutta quanta. Poi il plesso solare s’apre quasi a fiore e quei petali mi inondano di profumo ed emozioni. Resto immobile. Ma quella carezza ha il sapore di un dono.

Sarà la carezza della signora sconosciuta, del Ladakh. Una carezza che racconta la storia di una umanità intera. La storia di genti antiche. La storia di volti che nulla hanno di indiano. Volti simili a quelli nepalesi, tibetani o mongoli. Abiti pesanti, caldi.

Mani grandi, mani robuste e rugose. Mani maestose, quasi solenni, che t’accarezzano delicatamente. Mani laboriose, segnate. Sacre.

Guardo Chiara che presa quasi da incantamento osserva la famiglia di Leh. Il nostro breve viaggio inizia così, con una carezza sul viso, regalo generoso di una piccola, minuscola donna delle montagne.

India. 19 febbraio 2020.

Il Ladhak rientra nella top ten dei miei sogni di viaggio. Sogni. Il maledetto virus ha solo rimandato o trasformato sogni.

Non sarà ora, non sarà presto ma il Ladakh sarà….

Allora, come succede quando i programmi saltano, non resta che sedersi ad aspettare. Da seduti si può leggere. Con lo sguardo che si perde nel vuoto.

Cosa ci resta?

Non credo resti molto altro se non pensare che tutto passi.

E questo tempo apparentemente vuoto si riempie di pensieri. Si riempie di castelli in aria. Il tempo, che è il bene più prezioso a nostra disposizione, si trasforma in poesie, racconti, immagini di Paesi lontani o immagini di casa.

Fotografie, la mia passione. Accumulo scatti, miei e di altri, che sono come piccoli file nei cassetti della mia mente.

Scatti che non sono che un tappeto volante pronto a partire, in ogni momento. Che poi volare…, la vera assimilazione avviene camminando. Su strada. Come la vita, il percorso, il nostro. Con la fatica dietro l’angolo. Per assimilazione o per osmosi. Come viene….sì, come viene….