Empatia.
Corrispondenze dall’India.

Balcone. Fiori da annaffiare.

Sole oggi.

Lettura. Netflix. Musica classica. Bach e i Beatles. Fabio che manda il solito Rock. Telefonata alla mamma, gli amici del gruppo Whatsupp. Ti voglio bene, ti penso, stai bene? Mascherina. Spesa consegnata a casa. Disinfettante per le mani. Sapone. Torta profumata. Farina e lievito. Fotografie. Articoli, viaggi, sogni, acqua fresca.

Repellente per le zanzare.

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Due passi nel verde, sotto casa. Birra. Doccia. Profumo di buono. Cuscino. Divano. Gambe stese al sole, aspirina. Gelato, coperta, aria condizionata. Carezze, discussioni per la scelta del film. Luce accesa.

Adesso pensate a questi vostri giorni eliminando tutto. Cancellando tutto questo.

Immaginatevi senza porta di casa. Senza acqua corrente. Senza farina, senza cipolle, senza venti rupie.

Venti rupie sono meno di trenta centesimi, ma sono sufficienti per un pasto alle bancarelle, in città.

Immaginatevi barbieri, di quelli che lavorano sotto i ponti di Delhi, o magari guidatori di risciò, oppure venditori di fiori da portare al tempio o piccoli artigiani delle riparazioni.

Pulitori di scarpe, fruttivendoli, o operai a giornata nei cantieri della città. Immaginatevi sarti abituati a far piccoli rammendi veloci, o gelatai, venditori di zucchero filato o di piccole frittelle arancioni.

Avreste pensato anche voi di prendere un bus e magari farvi ore e ore per raggiungere piccoli villaggi remoti , gli stessi da dove siete fuggiti in cerca di fortuna, ma che di questi tempi vi sembrano l’unica possibilità di sopravvivenza.

Vi sareste accalcati, per salire sopra a quei bus che arrancano a ogni curva e sembrano morire stremati, quasi come voi.

Avreste spinto per un posto. Avreste messo i bambini sulle spalle e avreste probabilmente iniziato lunghi, terribili viaggi a piedi. Questo è quello che avremmo fatto tutti.

Per una speranza. In attesa di tempi migliori. Questo è quello che succede in India. Me lo state chiedendo in molti. In India ci si accalca per fuggire dalle metropoli che in scacco al virus rappresentano solo una trappola, per i più.

I migranti sì. I migranti, esattamente come molti abitanti di Delhi. Certo, la capitale non è l’Eldorado ma offre una chance. Permette di sopravvivere.

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Empatia, è quando si partecipa intimamente e si prova a comprendere lo stato d’animo altrui. Nel mio caso l’empatia è aggravata dalla mal celata sopportazione delle ingiustizie. E’ dura immaginarsi fortunati, di questi tempi, ma lo siamo. Lo siamo maledettamente.

Magari felici no, ma fortunati sì.

Delhi, 2 aprile 2020. A proposito di privilegi e sull’empatia.