Matrimonio Indiano.
Corrispondenze dall’India

Un vortice di danze, mani alzate ondeggianti,  musica, mosse ammiccanti, occhi fuori dalle orbite, occhi spalancati, occhi roteanti.

Luci, luci psichedeliche, luci stroboscopiche, salti, inchini,  occhiali a specchio, ciuffi neri, creste, brillantina per capelli, denti bianchi, splendenti, abiti sgargianti, giacche arancioni, fucsia, a pois. 

Oro, bracciali, anelli giganti, anelli impossibili, sbalorditivi. Denaro, drink color arcobaleno, ritmo. Ritmo. Cadenze, battiti.

Risate e sorrisi. Girandola di follia. Follia totale.

In che modo descrivere il ritmo incalzante e seduttivo di un matrimonio indiano?

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Giorni e giorni tra antichi riti, scaramanzia, eccesso. Trombe, tamburi, sfilate, fischi.

Danze.

Danze col nonno sdentato, danze con le settantasette zie, danze con i bambini, tutti quelli che ti corrono incontro curiosi, che ti osservano, che ti interrogano. Danze con la sposa e danze all’henné, che ti colora le mani. 

In coda, in attesa del mio turno, raccontandomi, confidando segreti.

Disegni che sono antichi simboli di cui non so nulla, ma nulla mi spaventa, o mi ferma, o mi turba.

Semplicemente magia, giochi, condivisione, divertimento sfrenato. Voglia di vita che fa quasi paura. 

Tutto è maledettamente eccessivo e inappropriato. Ci vado letteralmente a nozze.

Una sera con gli amici a ballare sino all’alba, tra scatti, sguardi allusivi, benedizioni, riti propiziatori, astrologia, stelle, costellazioni, cerimoniali.

Nonni, cugini, zii, amici, amici di amici di amici, zii di quindicesimo grado, che non sono manco parenti.  Gente, gente, gente. Calca, moltitudine, assembramento.

Tengono in mano banconote da dieci rupie e ti girano intorno augurandoti prosperità. Roteano, fluttuano, incontrollabili sfere celesti che hanno smarrito l’orbita.

Denaro e ricchezza, fondamentali per i futuri coniugi. Banconote ovunque. Lanciate, a farci quasi la doccia, a soffiarle in alto, a contrattare per rimettere in scena quelle che un tempo erano le contrattazioni reali, che si facevano tra parenti. Tra genitori per la dote, perché lo scambio fosse equo, proficuo, benedetto. Oggi qui si finge una trattativa. Le sorelle propongono una cifra, cantano, urlano. Chiasso, caos, la risposta è no. La negoziazione continua, prosegue per gioco, per piacere, per rinnovare costumi atavici.

Poi gli déi, i demoni, i nodi ai vestiti, i giri intorno alla brace, gli occhi truccati di kajal, che imperturbabili ti scrutano sino alle profondità dell’anima. Occhi protagonisti. Occhi, bocche carnose, mani.

Mani adorne, decorate, mani ammalianti, seduttive, mani che incantano, mani che sembrano fare magie.

Gli occhi degli sposi che si incontrano. Consapevoli o inconsapevoli. Teneri e audaci. Preoccupati o schivi.

Due che probabilmente non sono nemmeno innamorati ma che qui, da qui, partono.

Primi passi insieme. Da domani le vite cambiano, gli equilibri si ridisegnano. La camera pronta nella casa dello sposo, il nuovo che avanza.

La combinazione di elementi tra loro sconosciuti.

Le parole mute.

Gli occhi che, al contrario,  parlano, e parlano, e parlano ancora.

La girandola che nel cuore non può che girare alla velocità della luce, o forse più.

India, India, India in ogni poro, anche stasera che ripercorro attimi indelebili di vita. Di partecipazione. Del privilegio che ho avuto ad essere là, accolta e amata.

Socchiudo per un attimo gli occhi, socchiudo per rievocare.

Evocare attimi di vita che valgono come cento, mille istanti. 

Il matrimonio è stata l’esperienza più seducente di tutti i miei giorni indiani.

Ospiti quasi d’onore, ci siamo goduti riti e tradizioni.

Abbiamo presenziato entusiasti, felici e partecipi, alle cerimonie dei giorni che precedono il giorno ufficiale delle nozze.

Una settimana da togliere il fiato.

Impegnativa, goliardica, in una sorta di stato ipnotico ininterrotto.

Io in perenne apnea emotiva, che si scioglieva ogni volta, si scioglieva all’accoglienza.

Alla carezza della mamma dello sposo, agli occhi benevoli del papà. A non dirsi quasi nulla ma a dirsi praticamente tutto.

Accoglienza che sempre mi porterò negli angoli della memoria.

E basta un profumo, quelli miei indiani, per aprire porte di ricordi, ricordi che mi rincorrono instancabili.

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Ricordi che toccano il mio presente disegnandone contorni.

Una canzone, un ritornello, le mani alzate, le mie danze, il mio matrimonio indiano.

La mia amata India.